Le colonie fasciste per omosessuali.
L'omosessualità in Italia non è mai stata reato, eppure era punita.
Alla nascita del Regno d’Italia (1861) l’omosessualità era stata depenalizzata in quasi tutti gli stati della penisola (Sardegna esclusa) e nel codice Zanardelli (1889-1930) l’omosessualità non fu inserita tra i reati, esattamente come non fu inserita nemmeno nel codice fascista Rocco.
Possiamo quindi dire che l’omosessualità in Italia è sempre stata “legale”, anche dopo l’avvento del fascismo.
La ragione di fondo era che inserire l’omosessualità tra i reati significava riconoscerne l’esistenza, mentre il credo fascista prevedeva che l’uomo italico fosse troppo virile per poter essere omosessuale e che, l’omosessualità fosse un “vizio” dei popoli inglesi e tedeschi.
Dunque l’omosessualità nel periodo fascista era ben lungi dall’essere riconosciuta e accolta quale normale orientamento sessuale, bensì era un “turpe vizio” che minava la moralità e l’ordine pubblico.
Il 18 giugno 1931 venne pubblicato il regio decreto num. 773 che autorizzavano "misure di pulizia" contro coloro che mettono in pericolo la morale pubblica e il buon costume. Fu così che si iniziò a punire l’omosessualità: considerando gli omosessuali "asociali" e "fomentatori di pubblico scandalo" (pur senza nominarli esplicitamente).
La polizia iniziò così retate nei luoghi gay e le vittime potevano subire percosse, perquisizioni ed arresti, la confisca dei beni personali, oltre a misure di stretta sorveglianza e tutti i tipi di molestie
Sotto il regime fascista la punibilità dei reati contro la morale era regolata nel TULPS (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza) che dava alla polizia la facoltà di colpire con i provvedimenti della diffida (una sorta di avvertimento pubblico a abbandonare un comportamento “criminoso”, pena l’incorrere in provvedimenti più severi), l’ammonizione (una specie di arresti domiciliari della durata di due anni) e il confino, cioè la residenza coatta in un luogo lontano da quello in cui la persona viveva, con limitazioni della libertà personale.
In quanto illeciti amministrativi, non c’era neppure bisogno di processo. Tramite una rete di spie e informatori, questure e prefetture trasmettevano alla Direzione generale di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno le informative sui potenziali sovversivi, sia politici sia sociali.
Accusati di “comportamento contrario alle disposizioni del regime sull’educazione dei giovani”, “attentato alla morale e all’integrità della razza” e di “delitti contro la razza”, decine di omosessuali furono spediti al confino in isole sperdute, come Favignana, Ustica, San Domino nell'arcipelago delle Tremiti; altri furono condannati al lavoro forzato nelle miniere di Carbonia, centro minerario fondato dal regime in Sardegna.
Le colonie sparse erano luoghi isolati e aspri. Qui i confinati politici e comuni conducevano vite di stenti, di separazione dalla società civile.
Questo, unitamente al peso del disagio che veniva di fatto a gravare anche sulle famiglie d’origine sia per motivi economici che morali, spesso creava tali disturbi psichici da portare il confinato al ricovero in manicomio, che finiva per diventare una forma sussidiaria di confino.
La vita al confino era dura: gli omosessuali vennero isolati dagli altri confinati. La legge, inoltre, imponeva di trovare un lavoro stabile, impresa difficile in isole piccole e povere. I pochi soldi che lo stato passava ai confinati, inoltre, non erano sufficienti per vivere. Molti chiesero il trasferimento in Comuni della terraferma, dove la vita sarebbe stata meno dura. Quasi nessuno lo ottenne.
Si calcola che le condanne al confino politico per condotte omosessuali, tra il 1936 e il 1939 siano state circa 90, 40 delle quali comminate dal solo questore di Catania.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, nel 1942 le colonie sono state sciolte, tutti i confinati vennero mandati a casa, le pene commutate in due anni di ammonizione e coloro che avevano scontato almeno due terzi della pena sono stati rilasciati, ma sempre sotto la stretta sorveglianza della polizia.