A Sylvia. Non c'é rivolTa senza T.

Nell'anniversario della sua morte, visti i tempi in cui viviamo, dove le persone trans vengono cancellate dalla società cisnormativa e dimenticate dalla comunità gay e lesbica, vogliamo omaggiare una delle protagoniste dei moti di Stonewall: Sylvia Rivera, la Rosa Parks della comunità queer.

Sylvia Rivera alla marcia commemorativa dei moti nel 1973

Di recente il sito dello Stonewall National Memorial ha rimosso ogni riferimento alle persone transgender.
Oggi è l’anniversario della morte di Sylvia Rivera, una delle persone trans che le politiche attuali vogliono rimuovere dalla Storia.
Due buoni motivi per parlare di quanto la T sia stata fondamentale per il movimento di liberazione gay e lesbico e perché la comunità gay e lesbica non possono dimenticare questo contributo di rabbia e sangue. 
Sylvia nasce a New York nel 1951 da padre portoricano e madre venezuelana.
Il padre sparisce praticamente subito, la madre si suicida quando lei ha 3 anni, così cresce con una nonna materna che non vede l’ora di liberarsene quando scopre che "il" nipote ha atteggiamenti decisamente femminili. 
Incompresa, abbandonata a se stessa e soggetta ad abusi fisici e psichici, la piccola Sylvia va via di casa a 11 anni per vivere per strada, dove è adescata da uomini (manco a dirlo) per prestazioni sessuali che le consentono di sopravvivere.  
Ed è proprio in strada che entra in contatto con altre prostitute-drag queen più grandi, tra cui Marsha P. Johnson, che diviene la sua protettrice e che lei considera sua “madre”.
Sono infatti le drag queen di strada che la battezzano “Sylvia”. 
In vari momenti della sua vita, Rivera ha combattuto contro l'abuso di sostanze stupefacenti e ha vissuto per strada come senza tetto presso i moli di Christopher Street.
Nella sua vita Sylvia Rivera si è identificata in molti modi: ragazzo gay, drag queen, ragazza gay, travestito, transgender…alla fine arrivò ad odiare le etichette perché non riusciva a stare comoda in nessuna di esse.
Sappiamo che non ricorse mai alla medicalizzazione e solo negli ultimi anni fece uso di ormoni, ma non pensò mai di adeguare il proprio corpo alla norma cisgender; Sylvia voleva essere chi già era: se stessa!
Oggi diremmo che rientra nella fluidità di genere, ma fu una pioniera anche in questo, e non c’era ancora una parola per lei. 
Ebbe relazioni con uomini cis per tutta la sua esistenza, tranne negli ultimi anni, quando incontrò Julya  Murray, una donna trans che conobbe durante le sue attività di attivismo per persone trans indigenti. Gli amici di Sylvia ricordano che la sua relazione con Julya la aiutò a disintossicarsi dalle dipendenze da droghe e alcool.
D'altro canto Sylvia risollevò Julya dalla sua depressione, a dispetto dell’immaginario etero cis per cui le persone trans sono destinate ad una vita infelice e di perdizione: l’amore tra due donne trans ha guarito entrambe.  
Furono una coppia dal 1999 al 19 febbraio 2002, giorno della sua morte. 
Quando avvennero le rivolte di Stonewall Inn, Rivera aveva solo 17 anni e, se Marshal Johnson ammise fin da subito di non essere stata presente quando la folla ha aggredito la polizia che voleva sgomberare lo Stonewall Inn, Sylvia ha dato diverse versioni del fatto, nel tentativo di farsi credere tra chi aveva dato inizio alla rivolta. 
La verità molto probabilmente è quella raccontata da Jhonson: Sylvia non era allo Stonewall quando scoppiò la rivolta, ma nelle successive sei notti di rivolta fu tra le protagoniste, insieme a Marsha P. Johnosn, di una rivoluzione che dura ancora oggi. Di questo esistono diverse testimonianze attendibili.
La versione più accreditata sui moti di Stonewall è che iniziarono con la rabbia delle persone che vennero arrestate nel locale.
Mentre di solito salivano rassegnate sui furgoni della polizia, quella sera cominciarono ad imprecare e ad opporre resistenza.
Una lesbica butch (che molto più probabilmente era un uomo trans non medicalizzato), Stormè DeLarverie, riuscì a liberarsi dalla stretta dei poliziotti per diverse volte e, quando la presero in braccio per metterla nel furgone, urlò alla gente presente di fare qualcosa…e qualcosa fecero!
Sylvia Rivera non era lì quella sera, ma lo fu tutte le sere successive. 
Sfuggì agli arresti e guidò una serie di proteste contro le misure restrittive che la polizia cercò di attuare per contenere la rivolta. 
Lei e Marsha Johnson si affermarono come figure di spicco del Gay Liberation Front, organizzazione radicale che raggiunse l’apice della sua attività nell’immediato post-Stonewall Inn
Rispetto agli altri esponenti, loro due si battevano per chi era emarginat* anche all’interno della comunità LGBT: giovani senza fissa dimora, detenuti, ragazzi affetti da HIV e AIDS e, soprattutto, persone transgender
In questa prospettiva, nel 1971 Rivera e Johnson aprirono la STAR (Street Transvestite Action Revolutionaries), uno spazio che forniva alloggio alle persone transgender (fino agli anni 90 il termine transgender non era molto usato ed includeva travestiti, travestite, drag queen e lesbiche butch poiché includeva ogni identità ed espressione di genere non conforme al sesso di nascita ) e gay senza fissa dimora, per lo più erano persone razzializzate. 
La casa apparteneva a Mike Umbers, “Dirty Mike”, uomo profondamente coinvolto in gran parte delle attività di stampo mafioso che trafficava anche nello sfruttamento della prostituzione.
Rivera approfittò dei rapporti che aveva instaurato con Umbers durante gli anni della prostituzione su strada per poter avere accesso a un affitto sostenibile (cosa che fece cadere sulla sua reputazione un’ombra oscura).
La situazione si complicò quando Bubbles, drag queen che aveva il compito di riscuotere mensilmente l’affitto dei giovani occupanti, aveva lasciato la città intascandosi il denaro.
Marsha e Sylvia cercarono di recuperare gli arretrati con sforzi estenuanti ma non riuscirono ad arrivare alla somma, e Mike Umbers le sfrattò con le forze dell’ordine.
Questo evento mise fine alla vita dello STAR, e vide Rivera allontanarsi dall’attivismo e da New York.
Vi tornò solo dopo la morte dell’amica Marsha nel 1992.
In quegli anni si limitò a partecipare ai Gay Pride in memoria dei moti di Stonewall
Infatti negli anni seguenti ai moti di Stonewall, ad ogni marcia commemorativa le persone trans vennero escluse, marginalizzate e non gli fu mai data parola. 
Nel quarto anniversario dei moti di Stonewall (1973), Rivera tenne il suo famoso discorso "Gay Power!".
Rivera e Lee Brewster salirono sul palco durante il discorso dell'attivista femminista Jean O'Leary che chiedeva di escludere le drag queen (e quindi le donne trans) dal movimento di liberazione. 
Anni dopo O’Leary si pentì di quelle affermazioni poiché riconobbe l’assurdità di volere escludere le donne trans dalle richieste di diritti e uguaglianza esattamente come le femministe dell’epoca chiedevano di escludere dalle loro rivendicazioni le lesbiche.
In quel discorso Rivera ricordò quanto le drag queen e le donne trans fecero in occasione delle sei giornate di Stonewall e quanto ancora stavano facendo per dare visibilità alla causa gay e lesbica. 
Rivera era giustamente arrabbiata perché alla fine degli anni '90 e all'inizio degli anni 2000 vedeva non solo ridimensionato il ruolo delle persone trans nella nascita della rivoluzione LGB, ma perché comprendeva che nell’agenda delle associazioni dei diritti LGB, mancava del tutto l’attenzione ai bisogni e ai diritti delle persone trans, esattamente come era stato con l’attivismo gay pre-Stonewall
Nel 1994, sempre più delusa dall'emarginazione delle persone trans da parte della comunità gay, decide, durante il venticinquesimo anniversario della rivolta di Stonewall, di mettersi alla testa della cosiddetta marcia "illegale", un gruppo di manifestanti respinti dagli organizzatori del Gay Pride e il 24 maggio 1995 tenta il suicidio.
Non sarà l’unica volta in cui Sylvia Rivera tenta il suicidio per la discriminazione che le persone trans subivano proprio ad opera del movimento gay, che ha più volte preso le distanze dalle rivendicazioni di transessuali, travestiti e drag queen (che rappresentano nella comunità LGBT una sorta di minoranza nella minoranza).
All'inizio del 2001, dopo aver prestato servizio alla Metropolitan Community Church di New York in cui serviva pasti ai senza tetto, decise di far risorgere STAR come un'organizzazione politica attiva (ora cambiando " Travestito " con il termine coniato più di recente "Transgender", inteso come includere tutte le persone non conformi al genere).
STAR ha combattuto per il disegno di legge sui diritti dei transgender di New York City e per un Sexual Orientation Non Discrimination Act (SONDA) dello Stato di New York che includesse le persone trans nel divieto di discriminazione.
A tal proposito infatti Rivera ha attaccato duramente le associazioni Human Rights Campaign e Empire State Pride Agenda come organizzazioni che ostacolavano i diritti dei transgender
Persino mentre era costretta a letto per un cancro al fegato, Rivera incontrò i delegati dell'Empire State Pride Agenda per sostenere i diritti trans nel disegno di legge SONDA in sospeso, dal quale erano stati esclusi. 
Rivera morì a 50’anni all'alba del 19 febbraio 2002.
Il “Sylvia Rivera Law Project”, un ente di assistenza legale che fornisce servizi a persone transgender, intersessuali, gender nonconforming razzializzate e a persone a basso reddito, ha raccolto la sua eredità per garantire che tutte le persone siano libere di autodeterminare la propria identità ed espressione di genere, indipendentemente dal reddito o dalla razza, e senza affrontare molestie, discriminazioni o violenze.
E’ grazie alla tenacia e alla resistenza di Rivera che nella sigla LGB oggi abbiamo anche la T e la Q, aprendo la porta ai diritti e alle libertà di molte più persone.
Come disse qualcuno, Sylvia Rivera è stata la Rosa Parks del moderno movimento transgender
Rivera, che ha sofferto di povertà e razzismo, ha usato la propria voce per unire e per mostrare alla sua comunità che nessun* è sol*.
Ha amplificato le voci dei membri più vulnerabili della comunità queer: drag queen, giovani senzatetto, detenuti gay in prigione e in carcere e persone transgender.

Sylvia Rivera ha il merito inconfutabile di non aver sprecato il proprio dolore ma di averlo messo al servizio degli altri, per combatterne le cause e cambiare qualcosa.

E – che piaccia o no – qualcosa l’ha cambiata.

Marsha e Sylvia non hanno dato il via ai moti di Stonewall, ma non è chi lancia un mattone o un tacco che fa la Storia.

La Storia la fa chi resta a combattere col proprio corpo, conforme o meno, con la propria rabbia, senza indietreggiare neanche davanti ad anni di manganellate che ti rompono le ossa e sporcano di sangue. 

Sylvia e Marsha sono state le prime persone a comprendere che la lotta ha senso e può funzionare solo se intersezionale.

Se ci si dimentica di chi è cancellat* perché ha un corpo non conforme alla cisnormatività di chi è razzializzat* e in condizione di povertà, allora non si sta lottando per chiedere diritti e uguaglianza, ma si sta semplicemente urlando per essere insclus* in un sistema di privilegi. 

Cancellare il contributo delle persone transgender alla liberazione della comunità gay e lesbica e dimenticare che gay e lesbiche hanno i diritti che hanno grazie a persone che ancora oggi non hanno diritti, è non solo un tradimento disonorante, ma anche un errore che pagherebbero molto caro. 

Se oggi si cancella la T, non passerà molto che si cancelleranno tutte le altre lettere. 

Lo scopo delle istituzioni è isolare le singole lettere del mondo queer per poterle affrontare singolarmente: perché presi singolarmente non abbiamo alcuna forza.

Non c’é rivolTa senza la T, non ci sono diriTTi senza la T, non c’è liberTa’ senza la T!

****

Nel 1999 Sylvia Rivera venne invitata in Italia dal M.I.T. e partecipò al World Pride 2000 a Roma dove fu acclamata come la "madre di tutte le persone gay".

Nel 2005, durante il Transgender Day of Remembrance, New York le ha dedicato una strada.

Dal 2013 le è intitolato il comitato territoriale dell'Arcigay di Chieti.

Nel giugno 2019, la città italiana di Livorno ha dedicato un'area verde a Rivera, denominata Parco Sylvia Rivera.


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