Bisessualità in Africa.

In Africa è l'omofobi a non essere parte della cultura locale, non l'omosessualità.


Nel continente africano l’omofobia è fortissima ed è la conseguenza della colonizzazione occidentale. 

Sebbene la narrazione locale sia che l’omosessualità sia un “vizio” importato dai colonizzatori, la verità è ben altra. 

Gli studi fatti sull’Africa precoloniale documentano che le pratiche bisessuali erano molto frequenti e già presenti all’arrivo dei colonizzatori. 

Quando i colonizzatori hanno occupato i territori africani hanno ovviamente portato con sé anche la condanna dell’omosessualità.

A seguito della dura condanna dell’omosessualità da parte dei colonizzatori, gli autoctoni hanno interiorizzato talmente tanto questa repressione, che hanno iniziato a cancellare la bisessualità dalla loro memoria storica, fino a ritenere che l’omosessualità non sia mai esistita nei loro territori, ma sia frutto dei colonizzatori occidentali. 

Oggi l’omofobia africana è più una risposta politica al colonialismo che all’omosessualità in sé: reprimere l’omosessualità equivale a combattere e opporsi al colonialismo che ancora influenza (negativamente) la vita dei Paesi africani. 

I primi ad esplorare sistematicamente l’Africa furono i portoghesi nel XVI secolo e i primi esploratori riportano l’esistenza di pratiche bisessuali molto frequentemente nelle tribù locali. E’ proprio la frequenza di queste relazioni bisessuali che spinge gli esploratori occidentali a far ritenere necessaria l’evangelizzazione dell’Africa per garantirle la “salvezza” e la “civilizzazione”.

Nel Congo del sud e nell’Angola del nord gli esploratori a fine 1500 testimoniano l’esistenza di uomini in abiti femminili che erano “mogli” dei capi tribù, al pari di come succedeva nelle Americhe precolombiane.

Che esistessero pratiche omosessuali in Africa prima del colonialismo è provato anche dalla lingua dei vari Paesi in cui si trovano termini che indicano esplicitamente pratiche omosessuali femminili e maschili. 

Se esiste in una lingua un termine per indicare qualcosa, vuol dire che quel qualcosa esisteva al momento della nascita di quel termine. 

In alcune pitture rupestri dello Zimbabwe sono raffigurati riti di unione tra uomini e in alcune tribù nel Bantu, nel Camerun e nella Guinea Equatoriale i rapporti omosessuali servivano a trasferire ricchezza da un uomo all’altro (dal partner ricettivo al partner insertivo).

Nel Sudan i soldati sposavano giovani adolescenti pagando una dote alle famiglie dei ragazzi e questi si occupavano di svolgere tutte le attività che solitamente svolgevano le donne, fino a che non diventavano adulti e a loro volta “sposavano” un adolescente (in maniera abbastanza simile alla pederastia greca nel campo militare). 

Lo scopo era quello di impedire alle donne di finire nei campi militari e agli uomini di praticare astinenza sessuale per tutta la durata del servizio militare. 

La bisessualità esisteva ovviamente anche tra le donne, soprattutto nelle coppie poliamorose (un uomo che sposava più donne). 

Trattandosi però di culture patriarcali, verso il lesbismo non c’era la stessa apertura e accettazione che c’era verso l’omosessualità maschile: motivo per cui le pratiche omosessuali femminili erano segrete. 

Stranamente la masturbazione era vista peggio che l’omosessualità nelle culture precoloniali: il sesso era qualcosa che implicava condivisione e non poteva essere vissuto in solitudine, quindi in assenza di donne, era molto meglio farlo con un uomo che darsi piacere da soli.

Nell’etnografia africana dei primi del 900 gli africani vengono però descritti come “figli della natura”, alla stregua di animali e, in quanto tali, non contagiati dai vizi della “civilizzazione”, ovvero dall’omosessualità.

Da qui nasce l’immaginario che prima della “civilizzazione” coloniale, in Africa non esistesse la bisessualità/omosessualità.

Le leggi omotransbifobiche vennero introdotte proprio con l’arrivo dei colonizzatori soprattutto britannici. 

Successivamente alla seconda guerra mondiale molti missionari USA hanno poi ulteriormente inasprito la condanna dell’omosessualità, soprattutto a seguito dell’ondata di HIV che colpì l’Africa dalla fine degli anni 80 (che fu interpretato come un’ennesima piaga del colonialismo che aveva importato un vizio mortale).

In realtà, ciò che emerge dalla storia, è che è l’omofobia a non essere parte della cultura africana, non l’omosessualità.

Tuttavia oggi, la forte omofobia presente in Africa, sebbene sia frutto della colonizzazione europea, è paradossalmente vista dagli ex colonizzatori come figlia di un popolo “incivile” a cui va imposto un nuovo modo di pensare a suon di sanzioni. 

Purtroppo le sanzioni vengono interpretate da questi Paesi come un ennesimo attacco alla loro “cultura” e come un esempio lampante di imperialismo culturale a cui, ovviamente, si oppongono irrigidendo le loro posizioni.


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